domenica, aprile 30, 2006

Indicazioni per una nuova vita:

1) L'Uomo non deve temere la Morte, perchè dopo di essa non c'è nulla.

2) La Morte è un fatto inevitabile, e per questo l'Uomo non deve mirare all'immortalità, cercherebbe solo sofferenza.

3) Dio non esiste, se esistesse certamente non si cura di noi.

4) Per essere libero veramente l'Uomo deve finire la sua ricerca della Libertà attraverso nuove leggi. Con meno leggi Scritte si è più liberi. L'Anarchia non è la soluzione. Le leggi devono essere poche, non zero.

"Dunque il male che più ci fa rabbrividire, cioè la morte, è nulla per noi, dal momento che, quando noi viviamo, la morte non c'è, quando invece c'è la morte, allora non ci siamo più noi. Dunque la morte non ci riguarda, nè quando siamo vivi, nè quando siamo morti, perchè per i vivi essa non c'è, i morti invece non sono più. Gli altri, d'altro canto, rifuggono talvolta dalla morte come dal peggiore dei mali, altra volta la ricercano quale sollievo dei guai della vita. Il saggio invece nè rifiuta la vita, nè teme il non vivere più; difatti, la vita non gli è molesta, nè crede che sia un male la morte. Come per il cibo, egli non se ne serve in abbondanza, ma sceglie il migliore; così egli non cerca di godere il tempo più ungo, ma il migliore" (Epicuro - Lettera a Meneceo)


"Definizione del fine (
telos) secondo Zenone: 'vivere in modo coerente'; il che vuol dire vivere in conformità di una ragione unica e concorde, in quanto coloro che vivono in modo contraddittorio sono infelici.
Si dice fine (
telos) un bene perfetto, come si dice che è fine la coerenza; ma si dice fine anche lo scopo, come si dice che è un fine il vivere coerentemente e fine anche si dice l'ultimo dei beni desiderabili, al quale tutti gli altri si riportano.
Fine è la felicità, per cui ogni cosa si fa, laddove essa si fa, sì, ma non per uno scopo estraneo ad essa: e consiste nel vivere virtuosamente, nel vivere coerentemente, e ancora, che è poi tutt'uno, nel vivere secondo natura"
(Zenone di Cizio)

"1. L'uomo, ministro e interprete della natura, opera e intende solo per quanto, con la pratica o con la teoria, avrà appreso dell'ordine della natura: di più non sa nè può."
(Francesco Bacone)

"Il diritto di natura, che gli scrittori comunemente chiamano
jus naturale, è la libertà, che ciascun uomo ha, di usare il suo potere, come egli vuole, per preservare la sua natura, cioè la sua vita, e di fare perciò qualunque cosa, secondo il suo giudizio e la sua ragione, egli creerà che sia il mezzo più adatto a quello scopo.
Per libertà s'intende, secondo il più proprio significato della parola, la mancanza d'impedimenti esterni; i quali impedimenti possono togliere una parte del potere di un uomo, nel fare quello, che egli vorrebbe, ma non possono impedirgli di usare il potere, che gli è lasciato, secondo che il suo giudizio e la sua ragione gli detteranno.
Una legge di natura -
lex naturalis - è un precetto o una regola generale, ricavata dalla ragione, per cui ad un uomo è vietato di fare quello, che distruggerebbe la sua vita o di togliersi i modi, per preservarla, e di omettere quello, con cui egli pensa che sarebbe meglio preservata. Benchè infatti coloro, i quali parlano su questo soggetto, sieno usi a confondere jus e lex, diritto e legge, pure debbono essere distinti, poichè il diritto consiste nella libertà di fare o di astenersi, mentre la legge determina e impone una di quelle cose, sicchè la legge e il diritto differiscono tanto, quanto l'obbligo e la libertà, che, in una e medesima materia, sono inconsistenti" (Thomas Hobbes)

"Dalla legge fondamentale di natura, con la quale è ordinato agli uomini di procurare la pace, deriva questa seconda legge, che un uomo volenieri, quando altri lo fanno, e per quanto crederà necessario alla pace ed alla difesa sua, rinunzii al suo diritto sopra tutte le cose, e sia contento di avere tanta libertà contro agli altri uomini, quanta è concessa al altri uomini contro di lui; poichè fin quando ogni uomo conserva questo diritto, di fare ciò che gli pare, tutti gli uomini resato in istato di guerra. Ma se gli uomini non lasceranno il loro diritto, come lui, allora non vi è ragione che se ne spogli lui solo; perchè sarebbe un esporsi come preda - al che non è obbligato nessuno - , piuttosto che un disporsi alla pace. E questa è quella legge del Vangelo: fate agli altri quello, che voi vorreste che gli altri facciano a voi, e quella legge per tutti gli uomini:
quod tibi fieri non vis, alteri non feceris.
Lasciare il diritto su qualche cosa significa, per un uomo, svestirsi della libertà di togliere ad un altro il benefizio del suo diritto sulla stessa cosa. Infatti colui, che rinunzia o abbandona il suo diritto, non cede ad un altro un diritto, che egli prima non aveva, poichè non vi è niente, a cui ogni uomo non abbia diritto per natura; ma solo si ostina nella opinione che possa fruire del suo diritto originale, senza ostacolo da parte sua nè da parte di altri. Sicchè l'effetto, che ridonda ad un uomo dall'abbandono di un diritto in un altro, non è che una grande diminuzione di impedimenti per usare il proprio diritto originale."
(Thomas Hobbes)

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